Il segreto dello stagno di Iidamachi Leggenda A Iidamachi,

Il segreto dello stagno di Iidamachi Leggenda A Iidamachi,

Messaggioda Kami-sama » venerdì 8 maggio 2009, 14:37

un altra leggenda che mi è rimasta impressa e che vorrei farvi partecipi:

Il segreto dello stagno di Iidamachi
Leggenda

A Iidamachi, nella provincia di Kojimachi, viveva un uomo di nome Yehara Keisuke. Era un hatomoto (cioè un vassallo feudatario dello Shogun), quindi un uomo a cui si doveva rispetto. Ma a parte ciò Yehara era molto amato e stimato per la gentilezza del suo cuore e per la bontà con cui trattava ogni persona.
A Iidamachi viveva un altro hatomoto, Hayashi Hayato. Aveva sposato O Komé, la sorella di Yehara, e i due erano estremamente felici. Avevano una figlia di quattro anni che era la delizia dei loro cuori. La loro casa aveva un aspetto un po’ trascurato, ma apparteneva interamente ad Hayashi, compresi gli stagni di fronte a essa e due fattorie, per un totale di quasi ottanta ettari, di cui quasi la metà erano coltivati. Perciò Hayashi poteva vivere senza lavorare molto. D’estate andava a pesca di carpe, d’inverno scriveva molto ed era considerato un discreto poeta.
Al tempo della nostra storia Hayashi, avendo già seminato il riso e le sato-imo [patate dolci], aveva poco da fare e passava molto tempo con la moglie, pescando negli stagni, uno dei quali era ricco di suppon [tartarughe d’acqua dolce] e di koi [carpe].
Improvvisamente le cose cambiarono in peggio.
Una mattina Yehara fu molto sorpreso di ricevere una visita della sorella O Komé.
«Mio caro fratello», disse lei, «sono venuta da te perché tu mi aiuti a ottenere il divorzio o la separazione da mio marito».
«Il divorzio? E perché mai dovresti voler divorziare? Non hai sempre detto di essere felice con tuo marito, il mio caro amico Hayashi? Quale ragione inaspettata ti spinge a chiedere il divorzio? Ricordati che siete sposati ormai da cinque anni, il che dimostra a sufficienza che la vostra vita è stata felice e che Hayashi ti ha trattata bene».
In un primo momento O Komé non volle dare alcuna spiegazione sul perché desiderasse separarsi dal marito, ma alla fine disse:
«Fratello, non pensare che Hayashi mi abbia trattata male. Anzi, è l’esempio vivente di tutto ciò che si può chiamare gentilezza, e ci amiamo profondamente. Ma come sai, la famiglia di Hayashi ha posseduto la terra e le fattorie, tra cui quella in cui viviamo, per quasi trecento anni. Niente lo avrebbe convinto ad abbandonare il luogo della sua dimora, e io stessa non avrei mai desiderato che lo facesse fino a una dozzina di giorni fa».
«Cosa è mai successo in questi dodici giorni?», chiese Yehara.
«O, caro fratello, non riesco più a resistere», fu la risposta della sorella. «Fino a dodici giorni fa tutto andava bene, un poi è accaduta una cosa terribile. Era molto buio e faceva un gran caldo, io stavo seduta fuori di casa guardando le nuvole che passavano sopra la luna e intanto parlavo con mia figlia. All’improvviso apparve, come se camminasse sulle ninfee dello stagno, una figura bianca. O, com’era terribilmente bianco, bagnato e miserevole il suo aspetto! Mi è sembrato che sorgesse dallo stagno e fluttuasse nell’aria, poi mi si è avvicinata a me lentamente fino a poco meno di tre metri
Quando si è fermata, mia figlia si è messa a gridare:
«Madre, perché arriva O Sumi? Tu conosci O Sumi?»
Ho risposto che non lo conoscevo, ma ero così spaventata che quasi non mi rendevo conto di quello che dicevo. L’apparizione aveva un aspetto orribile. Era una ragazza di diciotto o diciannove anni, con i capelli sciolti e scarmigliati sulle spalle bianche e bagnate.
«Aiutami! Aiutami!» gridava, e io ero così spaventata che mi sono coperta gli occhi e ho gridato per richiamare mio marito che era in casa.
Quando è uscito mi ha trovata svenuta, con la bambina accanto a me, anche lei terrorizzata a morte. Ci ha portate in casa, ha chiuso le porte e ha detto che dovevo aver sognato.
«Forse», ha aggiunto sorridendo, «hai visto il kappa che si dice abiti nello stagno, ma nessuno della mia famiglia lo ha mai visto per oltre cento anni».
Mio marito non ha detto altro, ma la notte dopo, mentre ero a letto, la bambina mi ha afferrato all’improvviso gridando con una voce terrorizzata:
«O Sumi! C’è O Sumi! È orribile! La vedi, mamma? La vedi?»
La vedevo. Se ne stava in piedi bagnata e gocciolante a poco più di un metro dal mio letto. Il pallore, l’umidità e quei capelli scarmigliati le davano un aspetto spaventoso.
«Aiutami! Aiutami!», gridò l’apparizione, poi scomparve.
Da allora non sono più riuscita a dormire, e neppure la bambina. Ogni notte è tornato quello spirito, O Sumi, come lo chiama mia figlia. Mi ucciderò se sarò costretta a rimanere ancora in quella casa che è diventata un oggetto di terrore per me e la bambina. Mio marito non riesce a vedere il fantasma e non fa che ridere di me, e non c’è modo di risolvere la situazione se non con il divorzio».
Yehara disse alla sorella che il giorno dopo avrebbe fatto venire Hayashi e per quella sera rimandò la sorella a casa dal marito.
Il giorno dopo, quando Hayashi udì da Yehara quello che era successo, disse:
«È molto strano. Sono nato in quella casa più di vent’anni fa, ma non ho mai visto lo spirito di cui parla mia moglie e non ne ho mai udito parlare. Né mio padre né mia madre hanno ne fatto mai il minimo cenno. Mi informerò da tutti i vicini e i servitori per scoprire se hanno udito parlare di quello spirito o se qualcuno è morto all’improvviso e prematuramente. Qualche cosa ci deve essere: non è possibile che mia figlia così piccola conosca il nome Sumi, non ha mai conosciuto nessuno che si chiama così».
L’indagine fu fatta, ma non fu possibile sapere alcunché dai servitori o dai vicini. Dato che lo spirito era sempre bagnato, Hayashi pensò che il mistero si potesse risolvere prosciugando lo stagno: forse si sarebbero scoperti i resti di una persona affogata o assassinata le cui ossa avevano bisogno di un’adeguata sepoltura e delle dovute preghiere.
Lo stagno era vecchio e profondo, ricoperto di piante acquatiche e Yehara non ricordava che fosse mai stato prosciugato. Si raccontava che vi dimorasse un kappa, una bestia mitologica metà uomo e metà tartaruga. In ogni caso conteneva una gran quantità di tartarughe d’acqua, la cui cattura avrebbe adeguatamente ripagato il costo dei lavori di prosciugamento. La sponda dello stagno fu tagliata e il giorno dopo non rimaneva che una pozza nel punto più profondo. Hayashi decise di svuotare anche quella e si mise a scavare nel fango.
Proprio in quel momento arrivò la nonna di Hayashi, una vecchia di circa ottant’anni, e disse:
«Non c’è bisogno che continui. Posso raccontarti tutto io su quello spirito. O Sumi non ha riposo, e le sue apparizioni sono del tutto reali. Mi dispiace di questo, ora che sono vecchia, perché è colpa mia, sono io la colpevole. Ascolta, ti racconterò tutto».
A queste parole tutti si fermarono stupiti, consapevoli che stava per essere svelato un segreto.
La vecchia continuò:
«Quando Hayashi Hayato, tuo nonno, era vivo, la nostra cameriera era una bella ragazza di diciassette anni che si chiamava O Sumi. Tuo nonno se ne innamorò, e lei si innamorò di lui. A quel tempo avevo circa trent’anni ed ero molto gelosa perché la mia bellezza era già sfiorita. Un giorno, mentre tuo nonno era fuori, portai Sumi allo stagno e la picchiai duramente. Mentre ci accapigliavamo, lei cadde in acqua e restò impigliata nell’erba. La lasciai lì, perfettamente convinta che l’acqua fosse poco profonda e che sarebbe riuscita a uscirne. Ma non fu così, e affogò. Quando tuo nonno tornò a casa, la trovò morta. A quei tempi la polizia non era molto accurata nelle indagini. La ragazza fu sepolta, nessuno mi disse niente e ben presto la cosa fu dimenticata. Quattordici giorni fa era il cinquantesimo anniversario di quella tragedia. Forse è per questo motivo che appare lo spirito di Sumi. Tua figlia non può essere venuta a sapere questo nome. Forse è la stessa Sumi che glielo ha detto la prima volta che è apparsa».
La vecchia era scossa da tremiti di paura e raccomandò a tutti di pregare sulla tomba di O Sumi. Così fu fatto, e lo spirito non si vide mai più.
Dopo questi fatti Hayashi dichiarò:
«Anche se sono un samurai, ho letto molti libri e non ho mai creduto negli spiriti... adesso ci credo».
Non ne posso più della gente cattiva, che mi fa del male. Per me è come cocci di vetro piantati nella testa. Non ne posso più di tutte le volte che ho voluto rimediare e non ho potuto. Soprattutto è il dolore. Ce n'è troppo. Se potessi smettere di sentirlo lo farei. Ma non posso.
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